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Non avevo raggiunto Itaca ma forse ero tornato sulla terra [3]
Quando gli ultimi passeggeri furono stivati avendo trovato un posticino fra stie e casse, la chiatta si mosse con un sussulto di buona volontà, quasi orgoglioso. Avevo trovato un posticino asciutto fra una catasta di stie, per fortuna vuote, e un cumulo nero di radici di ignami e mi ero sistemato. Intorno una notte vigile nella luce smorta della luna, oltre a dieci facce nerissime e sudate e il rantolo, ora, del motore della chiatta da qualche parte sotto i miei piedi. Mi sentii per un momento il più fortunato degli uomini per essere ancora intatto. Sbagliavo. Amadou era seduto in posizione di cova ad un passo da me, sulla mia bistrattata valigia, quasi a volerla cosi proteggere. Offriva il profilo camuso al taglio del poco vento di traverso, fiero e meditativo come Mansa Kama, l'antico guerriero della sua terra. A tratti m'osservava con sguardi da conquistatore, ma sono certo che quei suoi occhi arrossati non mi vedevano affatto, eppure vi lessi come la mia condanna a chissà mai quale sacrificio tribale. Istintivamente, come per scongiurare questa minaccia e ingraziarmelo, lo distrassi dalla sua raccoglimento offendigli i due gianduiotti che m'erano avanzati del pranzo a bordo dell'aereo. Li mise in bocca entrambi, con tutto l'involucro dorato, e li ingoiò. A sua volta tirò fuori dal sacchetto di pelle, che portava legato al collo, una manciata di cavallette disseccate e me ne offrì con naturale semplicità. Si stupì perfino del mio rifiuto che mi sforzai di rendere cortese, ma che evidentemente non ero riuscito a render anche disinvolto. Chissà con quanto disprezzo andava considerandomi, mentre accuratamente, con dita assuefatte, spezzava gli insetti e li portava alla bocca.
Verso le tre del mattino eravamo al centro del Sierra Leone River. L'altra sponda non era ancora in vista. Il motore sotto i miei piedi ebbe uno scossone anomalo, singhiozzò qualche lamento d'acciaio, poi, rotto, tacque.
Rimanemmo così nel filo del vento e in balia della corrente. La luna sembrava contemplare spietata la mia angoscia nel vasto silenzio interrotto solo dal respiro roco dei passeggeri addormentati. Amadou mi scrutò con un sospiro:
«Capita!» sentenziò impietoso e fatale.
«Anche su Marte.» Meditai paziente.
Il capo chiatta s'inabissò sotto coperta. Lo udii bestemmiare in temne, il suo dialetto, mentre armeggiava con mazze di ferro e altri strumenti di tortura.
Amadou dormiva ancora tutto accigliato quando - era ormai l'alba - sussultando, la macchina si riprese dal coma, ma solo perché ricominciasse la mia odissea fra tutte le galassie dell'inquietudine. Non ero stato capace di chiudere occhio ed ero in condizioni da far tenerezza ad uno straccio.
Quando il fato finalmente lo decise giungemmo a Freetown. Il sole, ormai alto, dardeggiava africano e spietato. Una seconda auto ci attendeva sulla banchina, non più aggiornata della prima.
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